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Per un dialogo con Dio

Riflessioni sulla preghiera





Questo studio sulla preghiera riporta integralmente il contenuto del libro "PER UN DIALOGO CON DIO" di GUY APPÈRÉ - Edizioni E. P. - C. P. 20 - Finale Ligure (SV)




Capitolo 2: I motivi della preghiera







1. Introduzione

2. Un disegno immutabile di Dio

2.a Noi preghiamo Dio perchè Egli sa

2.b La preghiera non è un mezzo per piegare Dio

3. Un mezzo scelto da Dio

4. La gioia di Dio




1. Introduzione

La preghiera, che è condizionata da una giusta idea delle nostre relazioni con Dio, dipende pure da una giusta nozione dei motivi che la ispirano.

Perché noi preghiamo?

Su questo punto regna una grande confusione. D’altronde, una tale domanda viene posta alquanto di rado.
Ora, il misconoscere i motivi autentici della preghiera conduce sovente alla sua meccanizzazione e al suo affievolimento, oppure, al contrario, ad una eccitazione inutile e, talvolta, alla morte dello spirito che dovrebbe animarla.

2. Un disegno immutabile di Dio

Perché noi preghiamo? La risposta a tale domanda nasce del tutto naturale dalla risposta alla domanda che abbiamo posto nel capitolo precedente: Chi preghiamo?

Se noi preghiamo davvero l’Onnipotente, il Creatore di tutte le cose, Colui per il quale tutte le cose sussistono, noi preghiamo un Dio che tutto sa.

Varrà la pena di ricordarlo? Nessuno di noi lo ignora! E tuttavia noi sovente preghiamo come se Dio avesse bisogno di essere informato.

A meno che, trattandosi d’una preghiera pubblica, noi non vogliamo informare gli altri fratelli e sorelle.

Ma in tal caso non sarebbe più una preghiera, perché quelle che continueremmo a chiamare preghiere sarebbero parole rivolte non a Dio, bensì agli uomini.

2.a Noi preghiamo Dio perchè Egli sa

Il primo punto che dobbiamo sottolineare, è che noi preghiamo Dio perché Egli sa

Come sono sovente lontane dal nostro pensiero, le parole di Gesù! «E nel pregare non usate soverchie dicerie come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per la moltitudine delle loro parole. Non li rassomigliate dunque, perché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che Gliele chiedete» (Matt.6:7-8).

Eppure qualche volta noi abbiamo un poco di questa nozione pagana che Dio sia sensibile al numero delle nostre parole e che più insistiamo, più ripetiamo le medesime domande, più possibilità abbiamo di ottenere l’esaudimento.

È certamente un’interpretazione errata della parabola dell’amico inopportuno sulla quale avremo modo di ritornare
(Luca 11:5-9).

Ci si dice che Dio «scruta i cuori e le reni» (Ger. 11:20) e «conosce i nostri pensieri» (Salmo 94:11).
Davide era persuaso di tale perfetta conoscenza da parte di Dio, quando mormorava: «O Eterno, Tu mi hai investigato e mi conosci, Tu intendi da lungi il mio pensiero, conosci a fondo tutte le mie vie. Poiché la parola non è ancora sulla mia lingua, che Tu, o Eterno, già la conosci appieno. Le tenebre stesse non possono nasconderti nulla» (Salmo 139). E più avanti dichiara, con calma sicurezza: «E nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che m’eran destinati, quando nessun d’essi era sorto ancora».

Se Dio è Dio, questo non può che esser vero.

E stando così le cose, noi non abbiamo proprio nulla da far sapere a Dio nella nostra preghiera!

Noi preghiamo un Dio che sa tutto in anticipo, che conosce le nostre necessità, quelle che sappiamo esprimere e quelle che noi stessi ignoriamo e che forse sono le più importanti.

La testimonianza di Daniele viene a confermare il nostro pensiero.
L’inviato di Dio gli dice, in risposta alle sue preghiere:
«Daniele, al principio delle tue supplicazioni, una parola (vale a dire, la risposta Divina) è uscita; e io son venuto a comunicartela, poiché tu sei grandemente amato» (Dan. 9:23).

Non sottolineano, questi passi biblici, una verità che noi conosciamo molto bene, ma della quale non teniamo troppo conto quando siamo in presenza di Dio nella preghiera?

Dio conosce le nostre cadute.

Non abbiamo dunque bisogno di spiegarGliele.

Nella preghiera non Lo informeremo di esse, ma Gli diremo il nostro dolore, i nostri rimorsi, il nostro pentimento, e cercheremo di comprendere la Sua sofferenza davanti al nostro peccato e piangeremo con Lui.

Dio conosce le nostre prove.

Nessun bisogno, dunque, di enumerarGli le nostre inquietudini e i nostri dolori. Poiché Egli è «con noi tutti i giorni» (Matt. 28:20), è al corrente delle nostre difficoltà che Egli condivide.

2.b La preghiera non è un mezzo per piegare Dio

La preghiera non va considerata nemmeno come un mezzo per piegare Dio.

Diceva Lutero: «Pregare non significa vincere la resistenza di Dio, ma percepire la Sua buona volontà».

Chi sarebbe Dio, se in ogni momento gli uomini potessero farGli cambiare idea?

Egli non è una banderuola in balia dei venti contradditori della umane preghiere: se così fosse, noi non potremmo avere alcuna fiducia nella preghiera.

Ma in Lui «non c’è variazione né ombra prodotta da rivolgimento» (Giac. 1:17).
Ecco quel che deve fortificare la nostra preghiera: Egli sa tutto, e meglio di noi.

Una volta è capitato agli Israeliti di adoperare la preghiera come un mezzo per piegare Dio!

Avevano reclamato un pasto quotidiano diverso dalla manna. La rivendicazione non esprimeva un reale bisogno, bensì il frutto del lavoro di alcuni agitatori pieni di bramosia, i quali avevano trascinato il popolo alla ribellione.
Dio rispose a tale preghiera, ma nella sua collera!
«Ne mangerete, disse, non per un giorno, non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per venti giorni, ma per un mese intero, finché vi esca per le narici e vi faccia nausea, poiché avete rigettato l’Eterno che è in mezzo a voi» (Num. 11:19-20).

In questa risposta di Dio alla preghiera degli Israeliti noi rileviamo due insegnamenti importanti:

Dio sembra lasciarsi piegare contro la Sua volontà, e può esaudire una richiesta contraria al Suo volere. L’esaudimento, allora, significa un segno della collera e non del favore di Dio che può dar retta anche a colui che Egli ha respinto.

Che la preghiera abbia ottenuto proprio quello che chiedeva, non significa affatto, dunque, che essa sia stata sempre approvata. Nell’apprezzare l’esaudimento, resta di rigore la prudenza.

Il Signore conosce le nostre vere necessità ed agisce sempre con saggezza e amore per il nostro maggior bene. Tutti i silenzi e gli interventi della Sua provvidenza rientrano nel quadro del Suo «eterno disegno» Egli opera sempre «secondo il consiglio della Sua volontà» (Efes. 1:11).

Tanto Egli conosce quello che vogliamo chiedere che, se noi preghiamo proprio come si deve, in un vero spirito di preghiera, sarà lo Spirito medesimo di Dio ad ispirare la nostra preghiera e ad esprimere le nostre necessità:
«Parimenti ancora, lo Spirito sovviene alla nostra debolezza; perché noi non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili» (Rom. 8:26), scrive l’apostolo Paolo ai Romani.

È lo spirito di Dio che deve
«soffiare» nella nostra preghiera. E Colui che la detta non la riconoscerebbe? Non è stupefacente che Gabriele abbia detto a Daniele: «Al principio delle tue supplicazioni, una parola è uscita» dalla bocca di Dio? (Dan. 9:23)

Dio sa!
E questo non soltanto non c’impedirà di pregare, dato che pregare non significa informare, ma anzi ci stimolerà a farlo e ci sarà di assicurazione.
Perché, se Dio non conoscesse in partenza le nostre necessità, potrebbe comprenderci quando Gliele esponessimo?

3. Un mezzo scelto da Dio

Il secondo dei motivi che devono spingerci alla preghiera è che Dio, che sa di che cosa abbiamo bisogno, e che potrebbe accordarcelo direttamente, ha scelto di rispondere attraverso la preghiera.

Il fatto può stupirci, può sembrarci un modo di agire ben curioso.
Tuttavia non è meno vero che la preghiera è il canale scelto da Dio per effondere su di noi i Suoi benefici. Non possiamo né discutere né criticare: è così! «Chiunque chiede riceve» (Luca 11:10): questa è la regola, anche se, paradossalmente, occorre che per l’applicazione di essa, sia Dio stesso ad ispirare la preghiera.


Ma, dato che Dio conosce la nostra situazione, abbiamo proprio bisogno di pregarlo?

È che Dio, giustamente, attende la nostra preghiera per rispondere alle nostre necessità.
Vuole che siamo noi a domandarGli quello che Egli vuole donarci. Ha certamente le sue ragioni!


Una di esse sarà forse che in questo modo noi ci troviamo costretti a «riconoscere» la nostra dipendenza da Lui ed a conoscere le nostre necessità con maggior chiarezza.

E poi, talvolta, la preghiera stessa è la risposta di Dio!

Il fatto medesimo di pregare, di venire in contatto con Dio, dà sollievo al cuore, placa l’inquietudine, ridona una gioia e una pace perdute.

D’altronde, colui che pratica la vera preghiera, con costanza, vale a dire che vive coscientemente alla presenza di Dio, troverà in questo atteggiamento la sorgente della gioia, della pace e della sicurezza.

Perché dunque pregare?

Perché ciò significa essere davanti a Dio e con Dio, ed essere «con Dio» è la risposta a tutto. La comunione con Dio oltrepassa molto sovente la richiesta. Un sospiro, uno sguardo, una parola, bastano ad esprimere tutta una preghiera quando ci si conosce, si vive insieme, ci si ama.

Perché la preghiera è il mezzo scelto da Dio per rispondere alle nostre vere necessità.

4. La gioia di Dio

Ma ecco quello che è forse, di tutti i motivi, il più grande e decisivo e misterioso:

è che la preghiera del figlio costituisce la gioia del Padre. «La preghiera degli uomini retti Gli è grata» (Prov. 15:8);

la preghiera dei santi sale fino a Dio come incenso dal soave profumo (Apoc.5:8).

Se il cristiano trova la sua gioia nella preghiera, in questo contatto con Dio, c’è un fatto ancor più straordinario: Dio stesso trova gioia, da parte Sua, in tale comunione.

Tanta gioia incomprensibile di Dio, il cristiano la capisce un poco quando rammenta di essere «figlio di Dio»: e quindi che Dio, (meraviglia della Sua grazia e del Suo amore!), è suo Padre!

Che cosa può esservi di più triste, per un padre, di un figlio che non gli parli, che non partecipi ad alcune delle sue gioie o delle sue preoccupazioni, che anzi gli viva in casa indifferente, contentandosi di prendervi i pasti e di passarvi la notte?

Quale tristezza per un padre vivere con un figlio, del quale lo sguardo, le labbra, il cuore non esprimono alcun desiderio, alcun bisogno, e tanto meno alcuna gratitudine!

Ma quale gioia per un padre dare al figlio quello che sa essere il suo desiderio! Sarà forse ancor più contento lui nel dare che il figlio nel ricevere.

Egualmente, Dio prova maggior felicità nel dare che nel ricevere (Atti 20:35). Ecco il vero amore.




Ebbene, noi abbiamo una possibilità di offrire, mediante la preghiera, un’occasione al nostro Padre celeste di donarci, vale a dire di farlo contento...

Non fosse altro che per questo motivo, non varrebbe la pena di pregare?

A Dio piace ascoltare la nostra preghiera, piace vivere in comunione con noi. E noi, che in tante occasioni siamo per Lui causa di dispiaceri e di vergogna, non coglieremo questa possibilità di farGli piacere, di procurargli un po’ di gioia?

A noi piace farLo partecipe delle nostre gioie e delle nostre pene; ma abbiamo noi pensato a condividere le Sue?

Dio non è impassibile. I sentimenti di Cristo riflettono quelli del Padre: «Chi ha veduto Me, ha veduto il Padre» (Giov. 14:9).

Così, non è forse Dio che in Cristo si commuove davanti alla morte di Lazzaro (Giov. 11:35)

o piange sull’insensibilità del popolo di Gerusalemme e la prossima distruzione della città? (Matt. 23:37-39).

E non è forse Dio a trasalire di gioia quando Cristo onora degli umili confidando loro le più alte rivelazioni? (Luca 10:21).

E non si fa festa in cielo, vale a dire nel cuore di Dio, quando quello che era perduto viene trovato? (Luca 15).


Pregare Dio è condividere con Lui tutto quello che Lo fa soffrire e gioire con Lui per quello che Lo rallegra.

Non è confortante per noi stessi portare il fardello degli altri? In questo modo si dimentica un poco il nostro.
Ed è proprio quanto ci ricorda Gesù: Egli ci invita a scaricare su di Lui, mediante la preghiera, il nostro fardello ed a prendere su di noi il Suo (Matt. 11:28-30; 1ª Pietro 5:7).
Quale magnifico scambio! Esso rende leggero il più pesante dei fardelli.



Poter fare piacere al nostro Salvatore mediante un atto così semplice com’è la preghiera!

Non è uno stimolo a pregare incessantemente?

La preghiera ben compresa è attraente, esaltante; sta agli antipodi della ripetizione vana della litania. Non ha nulla a che fare con un catalogo di necessità e con un elenco di domande.

Quando si conosce non soltanto Chi si prega, ma anche perché si prega, allora la preghiera diventa la sede del più bello e più grande degli incontri.

Non delude e non annoia.

Non la si recita, si vive.

Non è ardente né eccitante: è pace e gioia.


RIASSUMENDO:

La preghiera, che è condizionata da una giusta idea delle nostre relazioni con Dio, dipende pure da una giusta nozione dei motivi che la ispirano.

Perché noi preghiamo? Se noi preghiamo davvero l’Onnipotente, il Creatore di tutte le cose, Colui per il quale tutte le cose sussistono, noi preghiamo un Dio che tutto sa.


Noi preghiamo Dio perchè Egli sa

Noi preghiamo Dio perché Egli sa. Stando così le cose, noi non abbiamo proprio nulla da far sapere a Dio nella nostra preghiera! Dio conosce le nostre cadute, non abbiamo dunque bisogno di spiegarGliele. Nella preghiera non Lo informeremo di esse, ma Gli diremo il nostro dolore, i nostri rimorsi, il nostro pentimento, e cercheremo di comprendere la Sua sofferenza davanti al nostro peccato e piangeremo con Lui.


La preghiera non è un mezzo per piegare Dio

Diceva Lutero: «Pregare non significa vincere la resistenza di Dio, ma percepire la Sua buona volontà». Chi sarebbe Dio, se in ogni momento gli uomini potessero farGli cambiare idea? Egli non è una banderuola in balia dei venti contradditori della umane preghiere: se così fosse, noi non potremmo avere alcuna fiducia nella preghiera.

Una volta è capitato agli Israeliti di adoperare la preghiera come un mezzo per piegare Dio! Avevano reclamato un pasto quotidiano diverso dalla manna. Dio rispose a tale preghiera, ma nella sua collera! Nella risposta di Dio alla preghiera degli Israeliti noi rileviamo due insegnamenti: Dio può esaudire una richiesta contraria al Suo volere. L’esaudimento, allora, significa un segno della collera e non del favore di Dio che può dar retta anche a colui che Egli ha respinto. Che la preghiera abbia ottenuto proprio quello che chiedeva, non significa affatto, dunque, che essa sia stata sempre approvata. Nell’apprezzare l’esaudimento, resta di rigore la prudenza.


Un mezzo scelto da Dio

Il secondo dei motivi che devono spingerci alla preghiera è che Dio, che sa di che cosa abbiamo bisogno, e che potrebbe accordarcelo direttamente, ha scelto di rispondere attraverso la preghiera.

«Chiunque chiede riceve» (Luca 11:10): questa è la regola, anche se, paradossalmente, occorre che per l’applicazione di essa, sia Dio stesso ad ispirare la preghiera.

Dio, giustamente, attende la nostra preghiera per rispondere alle nostre necessità. Vuole che siamo noi a domandarGli quello che Egli vuole donarci. Ha certamente le sue ragioni!

Una di esse sarà forse che in questo modo noi ci troviamo costretti a «riconoscere» la nostra dipendenza da Lui ed a conoscere le nostre necessità con maggior chiarezza.

E poi, talvolta, la preghiera stessa è la risposta di Dio! Il fatto medesimo di pregare, di venire in contatto con Dio, dà sollievo al cuore, placa l’inquietudine, ridona una gioia e una pace perdute.


La gioia di Dio

Ma quello che è forse, di tutti i motivi, il più grande e decisivo e misterioso: è che la preghiera del figlio costituisce la gioia del Padre. La preghiera dei santi sale fino a Dio come incenso dal soave profumo.

Se il cristiano trova la sua gioia nella preghiera, in questo contatto con Dio, c’è un fatto ancor più straordinario: Dio stesso trova gioia, da parte Sua, in tale comunione. Tanta gioia incomprensibile di Dio, il cristiano la capisce un poco quando rammenta di essere «figlio di Dio».

Che cosa può esservi di più triste, per un padre, di un figlio che non gli parli, che non partecipi ad alcune delle sue gioie o delle sue preoccupazioni, che anzi gli viva in casa indifferente, contentandosi di prendervi i pasti e di passarvi la notte?

Quale tristezza per un padre vivere con un figlio, del quale lo sguardo, le labbra, il cuore non esprimono alcun desiderio, alcun bisogno, e tanto meno alcuna gratitudine!

Ma quale gioia per un padre dare al figlio quello che sa essere il suo desiderio! Sarà forse ancor più contento lui nel dare che il figlio nel ricevere.

Ebbene, noi abbiamo una possibilità di offrire, mediante la preghiera, un’occasione al nostro Padre celeste di donarci, vale a dire di farlo contento... Non fosse altro che per questo motivo, non varrebbe la pena di pregare?

A Dio piace ascoltare la nostra preghiera, piace vivere in comunione con noi. A noi piace farLo partecipe delle nostre gioie e delle nostre pene; ma abbiamo noi pensato a condividere le Sue?

Poter fare piacere al nostro Salvatore mediante un atto così semplice com’è la preghiera!

La preghiera ben compresa è attraente, esaltante; sta agli antipodi della ripetizione vana della litania. Non ha nulla a che fare con un catalogo di necessità e con un elenco di domande.

Quando si conosce non soltanto Chi si prega, ma anche perché si prega, allora la preghiera diventa la sede del più bello e più grande degli incontri.